Nel corso del Novecento gli studi sui visitatori dei musei si sviluppano come un ramo di ricerca autonomo.
Probabilmente il primo che si occupò dell'argomento "benessere" nell'esperienza del museo fu Benjamin Gilman, museologo americano e curatore del Boston Museum of Fine Arts, che dal 1910 condusse studi empirici sul fenomeno del "museum fatigue" cioè dell'affaticamento da visita museale.
Nel 1916 pubblicò l'articolo "Museum Fatigue", Scientific Monthly, 12, 1916, (https://www.jstor.org/stable/6127) Gilman aveva fotografato gli sforzi - soprattutto fisici - necessari a un visitatore per osservare bene. Si era reso conto che alcuni allestimenti, per il modo in cui erano presentati, richiedevano maggiore impegno fisico. La fatica generava, dunque, un progressivo calo di attenzione. Aveva concluso che, dopo un breve sforzo iniziale, il visitatore in qualche modo "si rassegnava" e dedicava uno sguardo meno approfondito.
Altri studi sull'argomento, come quello del 1935 di Arthur Melton (A. Melton, Some behaviour characteristics of museum visitors. Psychological Bulletin 14(3), 1933) evidenziarono che al crescere del numero di opere esposte corrispondeva un minore interesse del visitatore.
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