Potevamo non andare a conoscere Marco Peri (Cagliari, 1978), storico dell’arte che del museo ha fatto il suo campo di ricerca educativa, attiva e permanente?
Marco Peri, un nome che si sta facendo largo nel panorama italiano dell’educazione museale. Come ti definisci e quale è la tua formazione?
Sono storico dell’arte ma ho sempre coltivato un grande interesse per i rapporti tra arte ed educazione. La premessa essenziale di tutte le attività che progetto è la ricerca di una connessione più efficace tra il pubblico e le collezioni del museo. Devo precisare che sono un freelance, non lavoro in un solo museo e questa condizione mi offre l’opportunità di entrare in contatto e collaborare con realtà molto differenti, dai musei d’arte contemporanea ai musei archeologici. Considero il mio lavoro un progetto di ricerca, una ricerca attiva, praticata nelle sale espositive, osservando il comportamento del pubblico, cercando di individuare i bisogni educativi del nostro tempo, progettando e conducendo attività didattiche innovative per tutti i visitatori del museo.
Cosa significa fare ricerca nell’ambito della didattica museale?
Significa soprattutto riflettere criticamente su ruoli e strumenti che il museo contemporaneo può adottare per rispondere al meglio alla sua funzione educativa, perciò per me è fondamentale essere costantemente aggiornato in prospettiva internazionale seguendo le migliori pratiche che si realizzano in Italia e all’estero.
Come è nato l’interesse, o meglio la passione, per questo ambito e nello specifico per la ricerca di nuove modalità di apprendimento e strumenti da sperimentare nel museo, nella scuola e in altri contesti educativi?
La passione è un presupposto essenziale per questa attività, amo il lavoro di educatore museale che tenacemente ho scelto. Credo che il museo contemporaneo sia uno spazio d’apprendimento straordinario, uno spazio di libertà in cui sperimentare nuove metodologie per apprendere e per fare esperienza. Il mio obiettivo è superare i modelli educativi dominanti, gerarchici e verticali per sperimentare nuove forme che sappiano stare al passo con il nostro tempo. Fare didattica museale innovativa significa elaborare strumenti e azioni per avvicinare al museo un pubblico sempre più ampio ma anche mettere alla prova nuove possibilità di apprendimento intergenerazionali, ideare strutture di coinvolgimento partecipative e inclusive, con i bambini e le bambine delle scuole, le famiglie, gli insegnanti, i giovani, gli adulti e qualsiasi altro gruppo o comunità, per far sì che la visita al museo rappresenti per tutti un’esperienza ricca di senso e trasformativa.
Come definisci la tua metodologia, chi sono i tuoi padri e/o i tuoi riferimenti contemporanei?
Mi interessa l’approccio che mette al centro dell’esperienza al museo le persone prima dei contenuti, cerco di spostare il focus dell’attenzione educativa dagli oggetti del museo ai soggetti. Voglio offrire ai bambini, agli adulti e a tutto il pubblico un’esperienza che sia coinvolgente e ricca di senso. Partecipazione, consapevolezza, emozione, immaginazione, meraviglia sono parole chiave nei percorsi museali che progetto e conduco.
Sono particolarmente attento a recuperare per il pubblico la dimensione del sentire, in opposizione all’atteggiamento logico-razionale del capire.
Tutto ciò che propongo l’ho imparato da tanti artisti e maestri che ho incontrato nel mio percorso, tuttavia i miei riferimenti provengono da ambiti distanti dal contesto museale come per esempio il teatro, la danza, la letteratura, l’editoria per l’infanzia, l’architettura, la filosofia, ambiti dai quali traggo ispirazione nei metodi e nelle forme.
Durante un workshop che ho avuto il piacere di frequentare, hai raccontato che, invitato alla National Gallery di Londra per condurre un incontro di educazione all’arte, ti venne espressamente specificato nell’incarico di “non far volare i partecipanti nel museo” visti i tuoi precedenti! L’ho trovata una immagine straordinaria e fortemente simbolica di come, anche e soprattutto nel campo dell’educazione dell’arte, il dovere di noi operatori sia quello di spingere gli orizzonti, le aspettative, le consuetudini sempre un po’ più in là. E il luogo dei divieti per definizione, il museo, deve trasformarsi giorno dopo giorno in un luogo di incontro, di esperienze profonde, di scoperte emotive, di… E perché no!?
Mi piace immaginare nuovi modi di vivere l’esperienza dell’arte! Per far ciò è necessario abitare il museo in modo partecipe e creativo, sfidando i codici di comportamento che prevedono per il pubblico un atteggiamento troppo spesso passivo e contemplativo.
L’aneddoto di non volare al museo si riferisce al fatto che tra le attività che ho progettato ci sono un Parkour al museo (Mart, 2014) e il laboratorio per_formativo *nuovi occhi* che ricerca nuove prospettive e nuovi punti di vista per rileggere gli spazi e i contenuti esposti.
L’idea di sfidare i codici di comportamento esprime idealmente la volontà di rompere gli schemi per immaginare nuove possibilità di relazione tra le persone e le opere.
In cosa consistono, dunque, i tuoi obiettivi?
Il mio impegno come educatore museale è di innovare la didattica museale con radicalità, e per ridefinire i confini delle possibilità educative occorre rompere le abitudini, superare i conformismi e i cliché, abbattere gli stereotipi e abbandonare i pregiudizi.
L’educazione nel museo dovrebbe essere più innovativa e sperimentale, alla continua ricerca di nuovi formati per interpretare per il nostro tempo, al passo con un mondo in costante cambiamento. L’obiettivo del mio lavoro è permettere al pubblico di fare scoperte, di pensare liberamente, di incontrare e accogliere altri pensieri, per fare tutto ciò ho a disposizione tutto il potenziale dell’arte che ci aiuta a comprendere un po’ meglio noi stessi e il nostro stare insieme.
Quali sono i tuoi prossimi progetti e dove potremo incontrarti?
Mi sto dedicando alla scrittura di un libro nel quale confluiscono le riflessioni e le idee che ho maturato nell’ambito della didattica museale a contatto con il pubblico ma soprattutto, nella mia attività di formatore, dal confronto con tanti colleghi che come me cercano di rinnovare le pratiche della didattica museale. Inoltre sarò impegnato in diversi workshop su e giù per l’Italia per comunicare il mio approccio per “educare con l’arte” e mi potrete incontrare ovunque ci siano musei e dipartimenti educativi che credono alle attività didattiche come servizio indispensabile, capace di incidere concretamente sulla crescita degli individui e sulla società.
‒ Annalisa Trasatti
articolo pubblicato su Artribune marzo 2018