Il termine “estetica” in questo contesto non fa riferimento alle riflessioni filosofiche avviate da Alexander Baumgarten che per primo lo utilizzò per definire gli orizzonti della sensibilità e della bellezza nell’arte. Estetica deriva etimologicamente dal greco aìsthesis, che significa “sensazione”, “percezione”, dunque è la forma della conoscenza che passa attraverso i sensi.
L'esperienza estetica comincia dalla partecipazione del nostro corpo sensibile ma impegna anche le memorie individuali, sollecita le emozioni, l’immaginazione, e non ultimo, il pensiero. È un'esperienza totale, capace di coinvolgere una persona nella globalità del suo essere.
Per chiarire meglio le implicazioni di quest'ultima affermazione, è sufficiente ricordare che l'opposto di estetico è “anestetico”, cioè mancanza di sensazioni, non sentire nulla, nessun coinvolgimento.
Nella società contemporanea i nostri corpi sono costantemente impegnati in rapporti più o meno intensi con varie forme di stimoli percettivi, eppure siamo abituati a vivere con i sensi quasi anestetizzati: vediamo moltissime immagini ma non sappiamo più osservare, sentiamo ma non riusciamo ad ascoltare, abbiamo a disposizione continue sollecitazioni ma non sappiamo prestare la giusta attenzione.
L'arte (e la vita) ci offrono un immenso laboratorio per praticare attenzione, sensibilità e meraviglia, un'opportunità per accordare la nostra percezione, proprio come si accorda uno strumento musicale, per aumentare l’estensione, la limpidezza, l’empatia.
Prima di essere una raffinata esperienza culturale, l'esperienza dell’arte è un'occasione di percezione che coinvolge tutti i sensi in un sentire globale. Lo spazio espositivo immersivo offre una serie di possibilità per esplorare le molteplici dimensioni del sentire, per andare oltre il predominio della visione e recuperare la globalità dinamica delle personali sensazioni.
Le installazioni e le proiezioni sono capaci di attivare le diverse capacità sensoriali del pubblico, sono un invito a superare la condizione passiva di spettatore e trasformarsi in un soggetto attivo nello spazio espositivo.
Attenzione: la percezione richiede impegno
L'esperienza dell'arte è potenzialmente capace di attivare tutti i canali percettivi, per questo è necessario parlare di “educazione estetica” come educazione dei sensi, ovvero: coltivarli, prendersene cura, raffinarli.
Maturare una maggiore consapevolezza delle proprie risorse conoscitive significa prendersi un tempo e uno spazio in cui essere pienamente presenti, un atto di volontà che dipende dalla disponibilità di mettersi in gioco, di lasciarsi andare, di seguire un proprio percorso di suggestioni, immergendosi in un’esperienza di riflessione oppure liberamente immaginativa.
Vedere, osservare, percepire
Tra i nostri sensi, quello della vista gode di un predominio indiscusso, è quello capace di portare maggiori informazioni alla nostra conoscenza. La nostra possibilità di visione si è perfezionata ogni giorno di più, possiamo guardare attraverso lenti di telescopi e microscopi, il nostro sguardo si confronta continuamente con immagini simultanee e in movimento che ci assediano dagli schermi di tv, tablet e smartphone. Questa “furia delle immagini” come afferma l'artista fotografo Joan Fontcuberta ci ha abituati a “visioni passive”, viviamo immersi in un mondo densissimo di messaggi visivi ma osserviamo davvero poco. Vedere è un atto quasi meccanico, involontario, osservare invece è molto di più, è comprendere, scoprire relazioni, scegliere, interpretare.
L’incontro con le opere d'arte, immagini e manufatti densi di storie e significati, può essere il contesto ideale per esercitare un’osservazione attenta e contrastare la fretta del consumismo visivo.
Essere visti
La vista è centrale nel linguaggio delle metafore, parliamo della nostra “visione” del mondo, di avere una prospettiva (vedere avanti), oppure di introspezione (guardarsi dentro).
Lo sguardo è una relazione tra noi e ciò che osserviamo, non osserviamo mai solo una cosa, guardiamo sempre al rapporto tra le cose e noi stessi.
Alcune antiche tradizioni indigene sono convinte che il mondo percepisca i nostri sguardi e ci guardi a sua volta, anche gli alberi e i cespugli, anche le rocce.
Con un gioco di parole possiamo affermare che l’esperienza dell’arte ci guarda, o meglio ci ri-guarda, cioè restituisce uno sguardo su di noi in cui possiamo osservarci come siamo realmente, non come pensiamo di essere, ma come siamo intimamente.
Marco Peri
[testo per il catalogo della mostra "Oltre il senso", Cagliari, 2022]